Pianeta Cobar

LA STORIA DELL'ARMA DEI CARABINIERI. LA STORIA DEI CARABINIERI D'ITALIA. LE GUERRE PER L’INDIPENDENZA E L’UNITA NAZIONALE. LA DIFESA DI CASALE MONFERRATO E LA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA.

Pubblicata il 25/08/2015

Nono passo alla riscoperta della Storia dell'Arma dei Carabinieri, la Storia dei Carabinieri d'Italia. In occasione del bicentenario, insieme ai carabinieri d'Italia rispolveriamo la nostra storia, le nostre origini. " Le guerre per l’indipendenza e l’unità nazionale. La difesa di casale Monferrato e la 2° guerra d’indipendenza. "
LA STORIA DELL'ARMA DEI CARABINIERI. LA STORIA DEI CARABINIERI D'ITALIA.  LE GUERRE PER L’INDIPENDENZA E L’UNITA NAZIONALE. LA DIFESA DI CASALE MONFERRATO  E LA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA.

Nel 1849 i Carabinieri dovettero organizzare e disimpegnare servizi di informazione sulle forze nemiche, provvedere a servizi nelle retrovie, costituire drappelli per i Quartieri Generali delle otto Divisioni e fornire un reparto di 50 uomini a cavallo, al comando del Capitano De Magistris, per la scorta al Sovrano e per il Quartier Generale principale. Comandante Superiore dei Carabinieri mobilitati fu, come nel 1848, il Colonnello Conte Avogadro di Valdengo. Iniziate le operazioni, i Carabinieri si segnalarono un pò dappertutto, e nella battaglia di Novara del 23 marzo due uomini dello Squadrone di scorta caddero colpiti a morte; un altro militare, il Carabiniere Ruffo, latore di un messaggio, assalito e ferito dagli Austriaci, riuscì a disimpegnarsi e portare a compimento la sua missione. Il 25 marzo ebbe luogo l’epica difesa di Casale Monferrato. Il mattino era giunto da Alessandria, di scorta a carri di munizioni, un drappello di Carabinieri agli ordini del Luogotenente Vittorio Morozzo Magliano di San Michele. Consegnato il carico al comando del forte, il drappello fu esortato a rimanere in Casale, per concorrere con le poche truppe del forte, otto Carabinieri della Stazione locale, alcune decine di Guardie Nazionali ed un certo numero di volenterosi cittadini, alla difesa della città, sulla quale avanzavano truppe austriache. Il Morozzo decise con i suoi uomini di restare e volle essere posto alla difesa del ponte sul Po, verso il quale più premevano gli Austriaci. Ritenendo di ampliare la difesa costituendo sulla sinistra del fiume una testa di ponte, il Morozzo, postosi arditamente a capo di una parte dei difensori, si portò con essi sull’altra sponda, rispondendo al fuoco del nemico, che rallentò la sua avanzata. Il successo fu, però, di breve durata e il prode Ufficiale cadde ferito a morte. Gli Austriaci, peraltro, non spinsero a fondo il loro successivo attacco, essendo giunta la notizia che a Vignale era stato concordato l’armistizio, onde quella sera stessa ripiegarono verso il Sesia. In seguito alla vittoria austriaca ed alla conseguente situazione politica, gli ex gendarmi dei Ducati, che erano transitati nel Corpo dei Carabinieri, poterono chiedere il congedo e rimpatriare, cosa che avvenne per buona parte di essi. Anche i reparti territoriali esistenti in quelle province e, per un accordo in tal senso con l’Austria, lasciativi dopo l’armistizio, cessarono progressiva-mente di funzionare ed i Carabinieri rimpatriarono. Ma sino a quando rimasero sul posto sostennero con ogni mezzo le popolazioni locali, vessate dagli Austriaci. Meritevole di menzione la ferma condotta del Capitano Filippo Ollandini, che tenne spesso testa all’austriaco Maresciallo Thurn, il quale tentò in tutti i modi di allontanare i Carabinieri dal Piacentino, senza riuscirvi fino a quando la situazione generale non consigliò il Governo piemontese a ritirarli.  La guerra perduta esasperò gli animi in tutto lo Stato e le varie correnti poli-tiche si mossero reciproche accuse, che degenerarono in tumulti di piazza. I fatti più gravi si ebbero a Genova, sollevatasi contro i pubblici poteri il 27 marzo 1849. Invaso il palazzo ducale e formatosi un triumvirato, il governatore militare, per evitare più gravi danni e altro spargimento di sangue, ritenne di venire a patti con esso. Fra i Carabinieri, che si erano impegnati con tutte le loro forze nel sedare i tumulti e mantenere l’ordine, trovò la morte il Maggiore Ceppi di Bairolo, comandante della Divisione di Genova, che un gruppo di insorti aveva accecato ed ucciso, trascinandone poi per le vie il cadavere. Numerosi furono anche i militari feriti. Giunte altre truppe al comando del Generale La Marmora, la sollevazione fu presto repressa e l’ordine ristabilito. Nel 1852, con un decreto del 19 marzo, si lasciò immutata la denominazione di “Corpo dei Carabinieri Reali”, con un comandante con il grado di Generale, ma venne ridotto l’organico dei militari a cavallo. La forza era, in quell’epoca, di un Colonnello, 2 Tenenti Colonnelli, 4 Maggiori, 68 Ufficiali inferiori e 2973 uomini, compresi i Sottufficiali e 95 allievi. I cavalli erano 620. Era comandante del Corpo il Maggiore Generale Lovera di Maria che conservò la carica per ben 19 anni e precisamente dal 1848 al 1867. Nel 1853, fu stabilito che il grado di Sottotenente fosse riservato ai Marescialli in possesso di determinati requisiti; i Luogotenenti erano tratti, invece, per un terzo dai Sottotenenti e per due terzi dai Luogotenenti di altri Corpi. Nel 1853, previo scioglimento del Reggimento Cavalleggeri di Sardegna fu ripristinato nell’isola il servizio dei Carabinieri, ma con uno speciale organismo militare, che prese il nome di “Corpo dei Carabinieri Reali di Sardegna”. La forza di tale Corpo, accessorio rispetto a quello dei Carabinieri di terraferma, fu di un Colonnello comandante, 32 Ufficiali, 823 uomini fra Sottufficiali, militari a cavallo ed allievi Carabinieri. Lo scompartimento prevedeva uno Stato Maggiore, 2 Divisioni, 6 Compagnie, 12 Luogotenenze e 114 Stazioni. I Carabinieri Reali di Sardegna durarono sino al 24 gennaio 1861, data sotto la quale avviene l’istituzione del Regio Esercito italiano e il nuovo ordina-mento dei Carabinieri, cui fu riconosciuto il rango di Arma. Sorse così la Legione di Cagliari e l’Arma fu quindi l’erede delle tradizioni militari dei Cavalleggeri di Sardegna, incorporati nei Carabinieri Reali di Sardegna e poi acquisiti nei propri organici. Fu così che due Ufficiali dei Cavalleggeri, decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare, vennero considerati quali decorati dell’Arma stessa: il Capitano Gerolamo Berlinguer, che aveva ottenuta l’alta ricompensa nel 1835 per un importante servizio di polizia giudiziaria, ed il Capitano Agostino Castelli, decorato nel 1840 per aver organizzata e diretta, con esito positivo, una spedizione contro il brigantaggio nella zona di Orgosolo. Nel corso della seconda guerra d’indipendenza del 1859, i Carabinieri, per essere utilizzati al massimo nei compiti di polizia militare, non costituirono, come per la precedente campagna, reparti speciali di scorta al Sovrano ed al suo Stato Maggiore. Si formarono, invece, dei drappelli addetti alle Grandi  Unità e si determinò per i Carabinieri un ampliamento dei loro compiti di polizia militare, quali previsti dal regolamento per le truppe in campagna. Ebbe preminenza il servizio delle informazioni, affidato ad uno scelto gruppo di Ufficiali e Sottufficiali, e quello non meno importante dell’avvistamento del nemico e delle segnalazioni. In particolare i nostri militari provvidero all’avvistamento e segnalazione delle prime mosse del nemico (compito della Stazione di San Martino Siccomario, che avrebbe dovuto fra l’altro abbassare in tempo le portiere del ponte di Mezzana Corti); alla protezione dei telegrafi alla frontiera; al controllo e segnalazione dei re-parti nemici transitanti da Magenta a Novara, da Abbiategrasso a Vigevano e Cassolnuovo, da Pavia a Gravellona ed oltre (compito affidato a Sottufficiali isolati, in appostamento sulle rive del Po); ed al servizio della corrispondenza, effettuato da una catena di piccoli posti di Carabinieri tra Pallanza e Biella. Tutto il servizio informazioni, per la prima volta organizzato tecnicamente e organicamente dal Tenente Colonnello di S.M. Giuseppe Govone, si avvantaggiò più che altro dell’opera dei Carabinieri. Fra i tanti episodi merita una speciale citazione il comportamento di un Brigadiere, che riuscì a fornire al Generale Cialdini, comandante della 4^ Divisione, importantissime notizie sulle mosse dei nemico oltre il Sesia. Il Sottufficiale passò, da solo, con una piccola imbarcazione, il fiume in piena e ne tornò con le notizie desiderate. In tutte le battaglie i compiti affidati ai Carabinieri vennero assolti in modo esemplare, per cui, chiusasi la campagna con l’accordo franco-austriaco ed il successivo patto di Villafranca dell’11 luglio, su proposta dello Stato Maggiore e dei comandanti delle Divisioni operanti, vennero concesse a militari del Corpo ben 20 Medaglie d’Argento al Valor Militare e 25 menzioni onorevoli, commutate poi in Medaglie di Bronzo al Valor Militare. Nel Ducato di Modena, proclamata la decadenza di quel Sovrano, e quindi l’annessione al Piemonte, il territorio fu presidiato da truppe piemontesi, mentre i Carabinieri provvidero all’ordine pubblico ed ai servizi di polizia, con l’ausilio delle superstiti Gendarmerie locali e della Guardia Nazionale. Altrettanto nel Ducato di Parma e Piacenza. Il trattato di Villafranca prevedeva, però, il ritiro dai Ducati di tutti i funzionari civili e dei contingenti militari piemontesi. Ma se fossero stati rimpatriati anche i Carabinieri sarebbe stato possibile un ritorno degli spodestati sovrani, con grave pregiudizio per il processo unitario in corso. Il Commissario straordinario del Governo piemontese a Modena, Luigi Carlo Farini, acclamato dal popolo “dittatore” il 28 luglio 1859 e rimasto, come tale, a capo del movimento nazionale, chiese quindi che rimanessero anche i Carabinieri. Il Governo piemontese, però, non poteva dare un tale ordine, per rispetto ai trattati. Tuttavia fece sapere confidenzialmente al comandante dei Carabinieri in Modena, Maggiore Giuseppe Formenti, tramite il comandante del Corpo, Tenente Generale Lovera di Maria, che se i Carabinieri vi fossero rimasti per loro spontanea determinazione avrebbero contribuito a risolvere favorevolmente una difficile situazione. Fu deciso in tal senso, il che sostenne l’azione del Farini, che portò poco dopo al plebiscito per l’annessione al Piemonte. Venne costituito anche un contingente locale di forze militari, sulla base di quattro Reggimenti e unità minori, e la dittatura del Farini si estese anche a Reggio, mentre Parma e Piacenza si adeguavano anch’esse alla situazione di Modena. L’8 agosto, indetti i comizi per un’assemblea costituente della Romagna ed eletti i deputati del popolo, vennero da questi proclamate la caduta della sovranità austroestense e l’annessione di quelle province al costituendo Regno d’Italia. I Carabinieri piemontesi, che avevano conservato Tenenze e Stazioni in tutto il territorio, contribuendo con la loro opera ai fe-lici eventi, vi restarono definitivamente, nuclei originari delle future “Divisioni” Carabinieri di Bologna, Forlì, Modena e Parma, istituite il 16 gennaio 1860. Nello stesso 1859 veniva inviato da Torino, a disposizione del Commissario straordinario del Regno Sardo nelle terre toscane, il Maggiore dei Carabinieri Filippo Ollandini, con il compito ufficiale di riorganizzare la Gendarmeria locale. Con decreto del Commissario del 18 giugno, l’Ollandini fu nominato comandante della “Gendarmeria Toscana” e promosso Tenente Colonnello, comandante della “Legione dei Carabinieri Toscana”, nuova denominazione assunta dalla vecchia Gendarmeria granducale, rapidamente trasformata. Lo speciale Corpo fu suddiviso in tre reparti principali, con sedi a Firenze, Livorno e Siena. Il 16 gennaio 1860, d’intesa con il Governo provvisorio toscano cui era a capo Bettino Ricasoli, il Governo sardo costituì però a Firenze una regolare Divisione dei Carabinieri, come distaccamento del Corpo piemontese e quasi contemporaneamente vennero costituite altre due Divisioni a Livorno e Siena. Avvenuto il plebiscito, l’11 marzo 1860, e proclamata l’unione della Toscana al Regno Sardo, la forza della Legione dei Carabinieri toscani venne incorporata dall’Arma nella istituenda Legione di Firenze, costituita ufficialmente il l° aprile 1861. Nel 1860 l’Arma aumentò, dunque, i suoi organici, assorbendo le forze, debitamente selezionate, delle ex Gendarmerie. In particolare vennero assunti 15 Ufficiali e 360 uomini di truppa del Corpo dei gendarmi dell’ex Ducato di Parma (i vecchi “Dragoni”) ed alcune centinaia di uomini della guardia municipale di Modena, anch’essi già “Dragoni” di quel Ducato. Nelle Romagne liberate, infine, circa mille gendarmi pontifici, divenuti in un primo tempo “Carabinieri delle Romagne”, passarono anch’essi nei Ca-rabinieri piemontesi. Soltanto in Lombardia, sciolta la Gendarmeria di marca austriaca, non vi furono assorbimenti di sorta, ma si preferì indire arruolamenti volontari. A tal fine fu inviato in quella regione il Colonnello Arnulfi.

 

 

 

 

( 9' passo alla riscoperta della nostra storia, la Storia dei Carabinieri d'Italia. Pianetacobar.eu e la Storia dell'Arma dei Carabinieri.)  Tutti passi che pubblichiamo in questa rubrica vengono man mano resi disponibile in archivio web nelll'area dedicata agli approfondimenti sulla destra nella homepage di www.pianetacobar.eu. Vistita l'archivio  "LA STORIA DEI CARABINIERI la Storia dell'Arma dei Carabinieri". 

Fonte: pianetacobar.eu\STORIA DEI CARABINIERI D'ITALIA\Aps Romeo Vincenzo

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