Pianeta Cobar

LA STORIA DELL'ARMA DEI CARABINIERI. LA STORIA DEI CARABINIERI D'ITALIA. LE GUERRE PER L’INDIPENDENZA E L’UNITA NAZIONALE. IL CORPO DEI CARABINIERI REALI DAL 1848 AL 1861.

Pubblicata il 25/10/2014

Settimo passo alla riscoperta della Storia dell'Arma dei Carabinieri, la Storia dei Carabinieri d'Italia. In occasione del bicentenario, insieme ai carabinieri d'Italia rispolveriamo la nostra storia, le nostre origini. " Le guerre per l’indipendenza e l’unità nazionale. Il Corpo dei Carabinieri Reali. "
LA STORIA DELL'ARMA DEI CARABINIERI. LA STORIA DEI CARABINIERI D'ITALIA.  LE GUERRE PER L’INDIPENDENZA E L’UNITA NAZIONALE. IL CORPO DEI CARABINIERI REALI DAL 1848 AL 1861.

Dal 1848 al 1867 il Corpo dei Carabinieri Reali fu comandato dal Generale Federico Costanzo Lovera di Maria, che si adoperò in ogni modo per rafforzare il Corpo in questi anni cruciali della storia d’Italia. E’ interessante notare come, nel 1848, anche nel Regno di Napoli fosse stata istituita una milizia con caratteristiche molto simili a quelle dei Carabinieri. A Napoli Ferdinando II di Borbone, spinto dalle dimostrazioni liberali che si erano svolte nella città, il 29 gennaio 1848 prese l’iniziativa delle riforme e concesse una Costituzione. Nell’Atto sovrano, stilato da Francesco Paolo Bozzelli, si parla della istituzione della cosiddetta “Guardia Nazionale”, che aveva il compito di difendere la Costituzione ed i diritti in essa consacrati; doveva mantenere l’obbedienza alle leggi, conservare e ristabilire l’ordine e la pace pubblica, sostenere le milizie di linea nella difesa delle frontiere e delle coste, assicurare l’indipendenza e l’integrità del territorio nazionale. La Guardia Nazionale, così come quella urbana, doveva essere reclutata tra i proprietari, professori, impiegati, capi d’arte e di bottega, agricoltori e doveva essere posta esclusivamente sotto l’autorità dei Sindaci, dei sottintendenti e degli intendenti: non poteva prendere le armi senza una richiesta dell’autorità civile. A Napoli il parlamento, eletto alla fine di aprile, si riunì, ma il 15 maggio scoppiò un conflitto tra i deputati, che non volevano giura-re la troppo ristretta costituzione concessa dal Re, il Sovrano e il Ministero; i Reggimenti borbonici, specialmente quelli svizzeri, vennero a conflitto con i sostenitori dei deputati, che avevano innalzato barricate e su di esse si batterono per un’intera giornata. Conseguenza della vittoria regia fu lo scioglimento della Camera, il richiamo del Corpo di spedizione diretto verso la Lombardia, la repressione di una insurrezione nelle Calabrie e l’abolizione della Guardia Nazionale. Il 16 maggio fu sciolta la Guardia Nazionale di Napoli, mentre i decreti di scioglimento che riguardavano le rimanenti città del Regno furono decisi tra la fine del ‘48 e l’inizio del ‘49. Il 26 ottobre 1850, il Comandante del Corpo dei Carabinieri inviò a tutte le Stazioni dell’Arma la “Circolare di massima n. 168”, che trattava delle “principali discipline ed incombenze” del Corpo dei Carabinieri; questa circolare era una ristampa con modificazioni della circolare di massima n. 26, che era stata inviata a tutte le Stazioni del Corpo il 12 maggio 1837. Al Generale Lovera stava a cuore la buona reputazione dei Carabinieri e dispose che in tutte le Stazioni la suddetta circolare venisse letta “in brigata riunita”, anche in previsione di un rafforzamento del Corpo che non sarebbe stato difficile ottenere dal Governo piemontese, se i Carabinieri avessero svolto nel migliore dei modi il servizio ad essi affidato. Il Generale Lovera voleva evitare che i Carabinieri potessero commettere degli arbitri, non conoscendo alla perfezione i loro compiti o potessero deviare dalla retta via per animosità e soverchio rigore; in particolare la circolare n. 168 trattava dei compiti di polizia giudiziaria affidati ai Carabinieri, la conoscenza dei quali si rendeva difficile in quanto il Codice Penale comune e il Codice di Procedura criminale non erano stati diramati a tutte le Stazioni. L’articolo 132 della suddetta circolare disponeva che quando i Carabinieri dovevano fare una perquisizione domiciliare, anche di giorno, dovevano richiedere l’assistenza dei Sindaci del luogo, i quali non potevano rifiutarsi di fornire il loro aiuto; le richieste dovevano contenere il grado e la residenza del richiedente e doveva essere specificato se la perquisizione domiciliare era effettuata per servizio oppure ordinata e in tale caso doveva essere spiegato l’ordine. Tale richiesta doveva contenere, infine, il nome e cognome dell’individuo da perquisire e il motivo della perquisizione. È chiaro che, dando uniformità agli atti connessi al servizio di polizia giudiziaria, il Generale Lovera intendeva evitare qualsiasi screzio tra i Carabinieri e le autorità locali. I contumaci, come gli individui sorpresi in flagrante, dovevano essere consegnati all’Autorità Giudiziaria, mentre i militari, che si erano resi colpevoli di un delitto militare, dovevano essere consegnati all’Uditore di Guerra. Una distinzione veniva fatta per gli individui arrestati come sospetti, faziosi o vagabondi, i quali dovevano essere presentati alla Autorità Giudiziaria locale, mentre le persone arrestate perché sprovviste di documenti, dovevano essere subito accompagnate avanti all’Autorità politica del luogo. Per quanto riguarda la traduzione dei detenuti, i Carabinieri non potevano essere impiegati per trasferire i detenuti, una volta che questi fossero stati già depositati nelle carceri, ma avevano l’obbligo, comunque, quando arrestavano un individuo, di presentarlo all’Autorità competente, dalla quale ricevevano, se del caso, la richiesta per una ulteriore destinazione. I militari renitenti o assenti senza licenza dovevano essere consegnati al comandante della provincia, ma disposizioni posteriori introdussero queste distinzioni: i renitenti dovevano essere presentati all’intendente della provincia alla quale appartenevano. I Sottufficiali e i soldati arrestati, dopo aver oltrepassato di otto giorni la loro licenza, erano considerati disertori e dovevano essere presentati all’Uditore di Guerra. I Sottufficiali e i soldati arrestati, una volta terminata la licenza, ma prima che trascorressero gli otto giorni, dovevano essere presentati al comandante militare della provincia e potevano essere direttamente tradotti anche al Corpo al quale appartenevano. L’articolo 237 della suddetta circolare disponeva che i Carabinieri, visto l’obbligo di visitare una volta al mese i comuni dipendenti, fossero tenuti, in tali circostanze, ad ispezionare i registri degli alberghi, delle osterie, dei caffè, anche di notte purchè in orario di apertura. Era loro compito quindi accertarsi che i locali pubblici fossero chiusi nelle ore o nei giorni stabiliti e che non vi si permanesse a mangiare, a bere o a giocare oltre il lecito ed in particolare nel tempo dei “divini uffizi”. Qualora i Carabinieri avessero rilevato un’infrazione, dovevano prima richiamare i contravventori all’osservanza dei regolamenti e, solo in caso di recidiva, dovevano denunciarli all’Autorità politica locale, redigendo un processo verbale. Queste di-posizioni non si applicavano nei riguardi dei viaggiatori di passaggio, i quali potevano essere alloggiati negli alberghi in qualunque ora, fermo restando che dovevano poter esibire i documenti necessari, in difetto dei quali erano obbligati a presentarsi all’Autorità politica locale. L’articolo 574 della circolare n. 168 del 1850 disponeva che l’intolleranza ed il litigio dovevano essere estranee ai militari del Corpo. L’unione, l’armonia, la civiltà, la deferenza erano qualità che un Carabiniere poteva facilmente acquisire persuadendosi che si trattava dei mezzi con cui poter ottenere, nell’espletamento dei propri doveri, un eccellente risultato. Il Generale Lovera, evidentemente, si era posto quale fine l’ampliamento dei quadri del Corpo e contava di potervi giungere guadagnandosi la stima ed il rispetto della popolazione e delle Autorità. Le dispute fra individui ap-partenenti ad una stessa Stazione e quindi destinati a convivere e ad aiutarsi in tutte le occasioni, sottolineava la circolare, minavano la forza morale e la coesione del reparto; il cattivo comportamento nei riguardi degli abitanti li inaspriva contro il Corpo e contro il Governo; la mancanza di riguardo verso le Autorità ritardava il servizio ed pregiudicava le mutue relazioni. Il Carabiniere non doveva mai fare giustizia da sé, ma piuttosto ricorrere ai superiori ed erano previste pene severe per chi trasgrediva ai propri doveri. L’alterco fra Carabinieri era punito con cinque giorni di sala di disciplina per il promotore ed altrettanti di arresti in caserma per gli altri; qualora ne fossero seguite delle minacce o i militari fossero giunti alle vie di fatto, la pena era dai 15 ai 30 giorni di sala di disciplina, a pane ed acqua. Uno sgarbo usato, qualunque ne fosse la causa, verso le Autorità, era punito con una pena non inferiore a 15 giorni di arresti in sala di disciplina. I Carabinieri erano considerati, come lo sono ancora oggi, sempre in servizio e poiché erano incaricati spesso di missioni molto delicate, dovevano essere sottoposti nel loro servizio alle stesse misure rigorose, che i regolamenti militari prescrivevano per le sentinelle che violassero il segreto della consegna o la parola d’ordine. Per quanto riguarda il Codice di Procedura criminale l’articolo 44, riportato nella circolare citata, disponeva i compiti della Polizia Giudiziaria che doveva ricercare i reati di ogni genere, doveva raccogliere le prove e doveva rimettere gli autori ai Tribunali incaricati di giudicarli; essa era esercitata dalle guardie campestri e dagli Agenti di Poli-zia, dagli Ufficiali e Sottufficiali dei Carabinieri, dai Commissari di Polizia e dai Sindaci. I Commissari di Polizia, gli Ufficiali e i Sottufficiali dei Carabinieri e i Sindaci erano tenuti ad informarsi di qualunque crimine, delitto e contravvenzione, fossero commessi sul territorio ove esercitavano le loro funzioni; essi dovevano ricevere anche le denunzie e le querele relative ai reati di “azione pubblica” e la querela, che avevano per oggetto reati di “azione privata”. Le notizie acquisite dovevano essere comunicate subito al “Giudice di Mandamento”. Gli articoli del Codice Penale comune riportati nella circolare n. 168 riguardavano in particolare gli oziosi, i vagabondi ed i mendicanti e vi si dispone-va che tali persone, qualora sorprese con scalpelli, lime, grimaldelli od altri arnesi atti a forzare porte, finestre, steccati o recinti, fossero punite con il carcere da sei mesi a tre anni, se non davano valide giustificazioni; nel caso poi che un mendicante o vagabondo, questuando, avesse operato atti di violenza, doveva essere punito con il carcere da uno a tre anni. Per quanto riguardava i genitori o tutori che prestassero i loro figli o amministrati, perché altri se ne servissero per mendicare, dovevano essere puniti con il carcere fino a tre mesi e con l’ammonizione.

 

 

 

( 7' passo alla riscoperta della nostra storia, la Storia dei Carabinieri d'Italia. Pianetacobar.eu e la Storia dell'Arma dei Carabinieri.)  Tutti passi che pubblichiamo in questa rubrica vengono man mano resi disponibile in archivio web nelll'area dedicata agli approfondimenti sulla destra nella homepage di www.pianetacobar.eu. Vistita l'archivio  "LA STORIA DEI CARABINIERI la Storia dell'Arma dei Carabinieri". 

Fonte: pianetacobar.eu/ storia dei carabinieri/ Aps Romeo Vincenzo

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