Nel frattempo la Carboneria prima, e la Giovane Italia poi, tenevano vigile il Governo piemontese sia all’interno che alle frontiere, temendosi colpi di mano promossi dall’esterno. E fu appunto quanto si verificò nel febbraio 1834, con il tentativo d’invasione della Savoia da parte di bande composte da esuli piemontesi e da stranieri, al comando del Generale di origine genovese Girolamo Ramorino, secondo un piano preordinato con Mazzini, e che tendeva, con il presupposto di una contemporanea sollevazione militare e di popolo, ad instaurare la repubblica nel Piemonte, come si era già tentato nel 1821. L’azione fu iniziata da quattro diversi punti della frontiera, tre dei quali, per varie ragioni, furono appena attraversati senza ulteriori sviluppi; lo stesso Ramorino abbandonò l’impresa. La quarta colonna, invece, ebbe qualche successo e riuscì ad occupare l’abitato di Les Echelles, a poca distanza da Chambery. Occupata la caserma dei Carabinieri e fatti prigionieri il Brigadiere comandante e due suoi uomini, gli insorti bivaccavano alle porte dell’abitato, allorchè, verso le 21 del 3 febbraio, si verificò un eroico episodio, che ebbe per maggiore protagonista il Carabiniere Giovanni Battista SCAPACCINO. Egli ritornava, a cavallo, da Chambery ove si era recato latore di corrispondenza, ed era del tutto ignaro degli avvenimenti. Venne così a trovarsi in mezzo agli occupanti che, sbucati da ogni parte lo circondarono, intimandogli con le armi puntate di gridare “Viva la Repubblica”, riconoscendo per sua la bandiera che essi portavano. Lo Scapaccino, per tener fede al giuramento prestato, gridò invece “Viva il Re”, e, ponendo mano alla pistola, diede di sprone al cavallo per farsi largo. Due colpi di fucile lo fulminarono. La spedizione si concluse rapidamente con lo sbandamento degli invasori per l’arrivo di truppe da Pontebelvicino. Il Corpo ebbe così nuovi titoli di merito e fu premiata la condotta di quei suoi uomini e particolarmente del Carabiniere Scapaccino, alla cui memoria venne concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare (l’alta onorificenza era stata istituita nel 1833, per cui egli è da considerarsi la prima Medaglia d’Oro dell’Armata sarda e, di conseguenza, dell’Esercito italiano). Ai suoi genitori venne accordata una pensione vitalizia. Furono, inoltre, decorati di Medaglia d’Argento al Valor Militare e promossi Brigadieri, il Carabiniere Carlo Gandino - che, addetto ad un posto di frontiera e latore di un messaggio, era capitato tra gli insorti ma era riuscito a sottrarsene, lanciando il suo cavallo al galoppo, noncurante dei colpi di fucile sparatigli contro - ed il Carabiniere Feliciano Bobbio, che, prigioniero nella caserma di Les Echelles, riuscì ad atterrare con un pugno colui che lo teneva in custodia sotto minaccia delle armi, e, saltando dalla finestra, a raggiungere con un cavallo di po-sta il comando militare di Pontebelvicino, dando l’allarme e riferendo sulla situazione. Nei primi decenni di vita del Corpo, anche se non si ebbero quelle complesse manifestazioni di delinquenza associata che furono fenomeni propri della seconda metà del secolo XIX e, ancor più, di quello attuale, il compito dei Carabinieri nella ricerca ed arresto di malfattori e delinquenti non fu meno impegnativo. Una “Circolare Periodica”, che dal 1818 venne stampata mensilmente ed inviata ai Comandi dipendenti, riportava i fatti importanti nel campo, appunto, della repressione dei delitti. Era, ed è, la guerra che i Carabinieri sostengono ogni giorno nelle città, nei borghi, nelle campagne; guerra silenziosa, che ha anch’essa i suoi eroi e la sua lunga schiera di caduti, che si apre con il Carabiniere Giovanni Boccaccio, ucciso da un colpo di fucile durante un’operazione di servizio presso Vernante, il 23 aprile 1815, a soli otto mesi dall’istituzione del Corpo. Una vera banda criminale fu quella di “Lungosantino”, che rese per parecchio tempo precaria la situazione nell’alto Novarese. La cattura del capobanda, nel 1829, costò la vita ad un Carabiniere. Nella Savoia, nell’Astigiano, nelle campagne di Cuneo e d’Ivrea, ove la delinquenza era particolarmente attiva, si ebbero 24 militari tra morti e feriti nel corso dei servizi di repressione. Sempre in quell’epoca, in occasione dell’epidemia di colera del 1835, si affermarono nella pubblica considerazione anche l’abnegazione e l’alto spirito umanitario dei Carabinieri, qualità divenute poi tradizionali per l’intero Corpo. Il terribile morbo esplose, alla fine di giugno, tra i forzati del penitenziario di Villafranca, estendendosi poi al territorio di Nizza, per cui si pensò subito di isolare tutta la zona tra il Varo ed il Roia con un cordone sanitario. Il contagio si diffuse, però, in tutta la Liguria e nelle Province di Cuneo e di Alessandria, con decine di decessi al giorno. In autunno l’epidemia tendeva a declinare, ma si riaccese nella primavera del 1836, estendendosi ancora di più. I Carabinieri furono largamente impiegati in ogni genere di servizi, quali la sorveglianza sulle persone in transito, l’isolamento di zone o di sin-gole abitazioni, il trasporto degli infermi, i servizi presso gli ospedali, i lazzaretti ed altri centri di ricovero, le disinfezioni e l’assistenza alle famiglie colpite. Fu talmente largo l’impiego di Carabinieri nei vari compiti contingenti, da rendere necessaria la distribuzione di apposite “istruzioni” a stampa sulla profilassi da adottare per evitare il contagio e sul modo di soccorre-re gli ammalati. In territorio di Sestri Levante i colpiti dal morbo venivano nascosti dai congiunti, per sottrarli a pretesi avvelenamenti. Il comandante della Stazione andò allora di casa in casa, riuscendo a sfatare il tragico pre-giudizio e rendendo possibile l’assistenza medica. In altre località persone morte di colera poterono essere seppellite soltanto per mano di Carabinieri, essendosi altri rifiutati di farlo. Numerosi poi i casi in cui gli ammalati abbandonati a se stessi, sopravvissero solo perché individuati da Carabinieri e da essi assistiti. Decine di episodi si ebbero a Santo Stefano d’Aveto, Montessoro, Sant’Olcese, Rocca Grimalda, Torriglia, Soriasco, Matterana, sulla riviera di Levante. Parroci, Magistrati, Autorità militari e civili fecero autorevole testimonianza dei meriti dei militari del Corpo. Sul finire del 1836 la “Gazzetta di Genova” faceva le più alte lodi per l’opera dei Carabinieri durante la lunga epidemia, scomparsa poi nell’autunno avanzato del 1837. Per la sua opera il Corpo ebbe l’elogio del Sovrano. Tre anni dopo, nel 1839, i Carabinieri furono chiamati ad affrontare una ben diversa calamità: le inondazioni di vaste zone intensamente abitate, a causa dello straripamento del Po, della Dora, del Sesia, del Polcevera e dell’Areto. L’opera di soccorso, resa sempre in circostanze disperate, salvò da sicura morte intere famiglie, infermi non in grado di muoversi, donne e bambini, nonché bestiame, masserizie e derrate. I Carabinieri si distinsero special-mente a Staffarda, Longhiasco, Paesana, Bressana, Casale Sant’Ambrogio, Zinasco, Mede, Rivarolo Genovese e Baveno. Nel 1841 vennero istituiti i “Carabinieri Veterani”, in soprannumero alla forza ordinaria; tale categoria era composta solo da Marescialli, Brigadieri ed Appuntati, tutti a piedi. I Carabinieri semplici che vi transitavano erano promossi Appuntati. All’inizio erano solo 41 uomini, al comando di un Maresciallo d’Alloggio Capo, con il grado di Sottotenente nell’Armata. Tale forza fu mandata a servire in Sardegna, suddivisa tra i vari Comandi di piazza dell’isola, con il compito dell’esecuzione di speciali servizi di polizia. Nel 1848 fu creata in tutto lo Stato sardo una “Amministrazione di sicurezza pubblica” e venne stabilito che il servizio esecutivo doveva essere affidato a Compagnie e distaccamenti di Carabinieri veterani. L’organico di tale forza, sempre in soprannumero rispetto a quello del Corpo dei Carabinieri, fu elevato a 10 Ufficiali e 690 uomini di truppa, compre-si i Veterani della Sardegna, saliti nel frattempo a 127 unità. I Carabinieri Veterani cessarono di funzionare nel 1852, con la istituzione di un “Corpo di Guardie di Pubblica Sicurezza”, che assunse per sé le attribuzioni che erano state già proprie dei Veterani, i quali, peraltro, non scomparvero del tutto, ma furono riordinati in un solo Corpo con gli “Invalidi”, per i compiti affidati a questi ultimi. Nello stesso periodo in cui si ebbero i Carabinieri Veterani un nuovo ordinamento del Corpo dei Carabinieri Reali (1843) portò a sensibili mutamenti sia nei Comandi territoriali con l’aumento di 6 Compagnie e di 14 Stazioni che negli organici degli Ufficiali e della truppa, che previdero un Colonnello comandante in seconda agli ordini del Comandante Generale, 63 Ufficiali e 2190 uomini, compresi i Sottufficiali e 80 allievi Carabinieri. Il 1° febbraio 1845, venne istituito il grado di Vicebrigadiere in luogo di quello di Appuntato di 1^ classe (gli Appuntati rimasero di un unico grado). Nel 1853 lo zar Nicola I di Russia, successore di Alessandro I, adducendo come pretesto la protezione dei luoghi santi, inviò un ultimatum al sultano ed iniziò le ostilità contro la Turchia, che, debole militarmente, si trovò in difficoltà fin dall’inizio del conflitto; Francia e Inghilterra intervennero a fianco della Turchia, mentre l’Austria, dichiarò la propria neutralità in quanto aveva stipulato un “patto segreto” con l’Inghilterra e la Francia, in forza del quale le veniva assicurato lo status quo in Italia, purché conservasse la neutralità. Le operazioni di guerra si protraevano per la resistenza russa, mentre il colera si era diffuso tra le forze alleate; ciò spinse Francia e Inghilterra a fare pressioni sul Piemonte, il quale inviò nel lontano teatro di guerra un Corpo di spedizione di 15.000 uomini. Il piccolo Corpo di spedizione diede prova di valore in special modo il 16 agosto 1855 sulla Cernaia (un piccolo fiume presso Sebastopoli), quando le nostre truppe salvarono lo schieramento alleato e Sebastopoli in seguito, in-vestita in forze, fu presa; nel frattempo era morto Nicola I e il successore, Alessandro Il, accolse la mediazione austriaca. Fu convocato un congresso europeo a Parigi e il trattato finale (30 marzo 1856) garanti l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Impero turco. Il Corpo dei Carabinieri prese parte alla spedizione con un distaccamento; presso il Quartier Generale principale fu istituito un Comando Superiore Carabinieri, che era formato da un drappello a piedi ed uno a cavallo, mentre presso ciascuna delle due Divisioni fu istituito un Comando Superiore dei Carabinieri, con un drappello a piedi; tre Stazioni vennero poi istituite a Jarri Koi, a Balaklava e a Costantinopoli e un distaccamento Carabinieri venne posto presso il Comando d’Armi di Costantinopoli. I Carabinieri, in Crimea, furono impiegati nelle operazioni militari e nei servizi di guida e di scorta e si comportarono valorosamente nella difesa della “Roccia dei Piemontesi”. Notevole fu l’aiuto che i militari del Corpo diedero nel soccorrere i soldati piemontesi colpiti dal colera; svolsero inoltre, in special modo i militari delle Stazioni, servizi di polizia giudiziaria, ricevendo numerosi riconoscimenti dalle autorità piemontesi, inglesi, francesi e turche. Al termine del conflitto il Capitano Emanuele Trotti, comandante del distaccamento Carabinieri presso il Corpo di spedizione sarda in Crimea (1855-1856), fu insignito della Legion d’Onore francese e della Croce di Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e ai Sottufficiali e Carabinieri furono attribuite 4 Medaglie Militari francesi, 4 Medaglie Militari ottomane, 37 Medaglie di Crimea inglesi e 27 Medaglie di Crimea sarde.